Una delle modalità più frequenti attraverso le quali si spostano quote di patrimonio sono le liberalità che un soggetto dispone a favore di un altro.
Negli ultimi anni si assiste ad un incremento di chiarimenti e argomentazioni in merito proprio perché le modalità di estrinsecazione sono le più varie.
Premetto col dire che se ogni donazione é atto di liberalità, non ogni atto di liberalità è donazione, basti pensare ai prestiti, ai depositi, ecc.
Recentemente la Cassazione con la sentenza 7442/2024 ha riepilogato le tre tipologie riferibili alle donazioni: ” dirette”, “indirette” e “informali”.
Le prime sono quelle tipiche nelle quali “per spirito di liberalità” una parte (donante) registra una diminuzione del proprio patrimonio e l’altra (donatario) un corrispondente arricchimento del suo.
Proprio perché trattasi di circostanze importanti, la legge richiede l’atto pubblico e la presenza di 2 testimoni affinché con tale solennità il donante sia ben consapevole di quanto sta facendo.
La categoria delle donazioni indirette si è andata consolidando: esse sono quelle che raggiungono “per spirito di liberalità” il medesimo effetto donativo delle dirette senza tuttavia le ricordate formalità.
Sono quelle operazioni in cui si arricchisce il donatario senza formalismi, non essendovi un passaggio immediato di valori
patrimoniali da un soggetto ad un altro.
Le donazioni indirette si caratterizzano quindi per il fine perseguito e non già per lo strumento adottato a tale scopo che, dunque, può essere costituito da qualunque negozio (o da più negozi collegati) che producono in concomitanza con il suo effetto diretto anche l’arricchimento del destinatario della liberalità.
Come si vede, centrale a tali istituti è lo “spirito di liberalità” per comprendere il quale basta pensare ad un concetto opposto all’obbligo.
Ad esempio, il coniuge che versa l’assegno periodico all’ ex lo fa per un obbligo non certo per spirito di liberalità.
Vi é infine la categoria delle donazioni informali le quali “consistono nello svolgimento di un’attività materiale […] o nella tenuta di un comportamento consapevolmente omissivo” da cui derivi la diminuzione del patrimonio del dante causa e il conseguente aumento di quello del donatario.
Da un punto di vista fiscale, a fronte delle numerosissime modalità in cui, come detto, le liberalità indirette possono palesarsi, esse vanno ricondotte, ai fini dell’imposta di donazione, all’art. 56-bis del D Lgs. 346/90 che va interpretato nel senso che la donazione indiretta non risultante da un atto soggetto a registrazione non è tassabile in sé per sé, ma solo se:
1) il contribuente preferisce registrarla o se
2) si trova a confessarne l’esistenza nel corso dell’accertamento di altri
tributi.
Nel primo caso essa sconta l’imposta di donazione con le aliquote (4%, 6% o 8%) a seconda del grado di parentela intercorso e le franchigie ordinarie (1 milione di euro, 1,5 milioni di euro, 100.000 euro);
nel secondo caso, in caso di accertamento della liberalità per effetto della dichiarazione resa dall’interessato, si applica l’aliquota più alta, pari attualmente all’8%, al superamento delle franchigie.
La sentenza di cui sopra ha affermato quindi che non esiste un obbligo generalizzato di registrazione per le donazioni indirette, la cui tassazione potrebbe scattare solo nelle fattispecie individuate dall’art. 56-bis citato.
Dr Cesare Iannotti